Siamo alla nuova puntata della saga fiscale sugli affitti brevi, quella che ormai fa concorrenza alle serie Netflix per numero di colpi di scena. Nella manovra bollinata dalla Ragioneria, arriva la rimodulazione della norma che avrebbe innalzato la cedolare secca sugli affitti brevi dal 21% al 26%.
Una buona notizia? Non proprio. Perché la buona novella vale solo per chi non utilizza piattaforme online o intermediari immobiliari. In pratica: chi affitta su un portale deve versare il 26%, chi trova gli ospiti con il passaparola resta al 21%. Come dire: se non puoi battere Airbnb, tassalo.
Il testo, contenuto all’articolo 7 della legge di bilancio, parla chiaro: l’aliquota ridotta si applica soltanto “nell’anno di imposta in cui non siano stati conclusi contratti tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione o gestiscono portali telematici”.
Una distinzione che, in tempi di prenotazioni digitali, ha il sapore dell’anacronismo.
“Una norma contro l’interesse nazionale”
La reazione non si è fatta attendere. La Federazione FARE, che rappresenta i proprietari e gestori di locazioni turistiche, ha commentato con ironia tagliente:
“La nuova versione della norma che decreta l’aumento della cedolare secca ricorda molto la favola del lupo e dell’agnello: non potendo raggiungere la base, si pensa di aggirare con un gioco di parole il problema e arrivare comunque alla fonte.”
Una favola moderna, insomma, in cui il ruolo del lupo fiscale resta intatto, mentre l’agnello–proprietario–si ritrova sempre più tosato.
Per FARE, la misura “è contraria all’interesse nazionale e favorisce solo i grandi capitali”, quelli che “demoliscono studentati per costruire hotel di lusso nei centri città”.
Nel comunicato ufficiale, la Federazione sottolinea l’evidenza: “È ovvio che la gran parte delle prenotazioni avvenga oggi attraverso il web, perché i piccoli locatori non hanno il potere contrattuale delle multinazionali dell’hospitality”.
La speranza ora è nel Parlamento, cui FARE affida un messaggio tutt’altro che velato: “Confidiamo che la maggioranza non deluderà i cittadini che vogliono creare lavoro e indotto senza pesare sulle casse dello Stato, bocciando una norma punitiva verso la piccola proprietà immobiliare”.
“Patrimoniale mascherata”, per AIGAB
Anche AIGAB (Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi) non usa mezzi termini.
La rimodulazione della norma, dicono, “non cambia la sostanza” e resta una “patrimoniale mascherata”.
Per l’associazione, a poco serve giocare con le sfumature di aliquota: la misura continua a colpire i piccoli operatori e a ridurre la competitività del settore turistico extralberghiero italiano — proprio quello che negli ultimi anni ha contribuito ad allargare l’offerta e destagionalizzare le presenze.
Il risultato è l’ennesimo paradosso fiscale all’italiana: si riempiono i convegni di parole come “transizione digitale” e “innovazione”, ma poi si penalizza chi usa strumenti digitali per lavorare.

